Caro Direttore,
assai mal consigliate, molte marche sembrano volersi suicidare.
Perché stanno diventando vittime di una grave eterogenesi dei fini di quelle che dovevano essere sacrosante campagne per la parità dei diversi generi nella società e nei luoghi di lavoro. Il fatto è che, iniziando con lo stigmatizzare le discriminazioni, si è oggi arrivati a sposare la causa di chi apertamente discrimina, disprezza, delegittima la famiglia cosiddetta tradizionale (per intendersi, la famiglia che fra i tanti scopi si pone anche quello di generare figli). Possibile che così competenti consulenti e vertici di blasonate imprese non si accorgano che dietro il termine INCLUSIONE oramai si celino una palese ESCLUSIONE e una crescente discriminazione di chi osa credere nella famiglia come è sempre esistita? Ascoltiamo in merito cosa afferma serenamente l’onorevole del PD Cirinnà, autrice del testo della legge sulle Unioni Civili: “Il concetto di famiglia tradizionale è fascista. Rieducheremo gli oscurantisti”.
Come se non bastasse, la promozione della DIVERSITA’, invece di sottolineare il valore delle singole peculiarità, propone una paradossale omologazione intorno ad un pensiero unico che non ammette distinzioni o ragionamenti, pena l’immediato e infamante stigma dell’omofobia.
La riprova conclamata di questa deviante eterogenesi dei fini risiede nel fatto che oramai i sostenitori della parità (e della confusione) tra i generi non si limitano a rivendicarla, ma si impegnano nel cercare di indottrinare con appositi corsi a base di teorie gender (come se fossero le uniche ammesse) anche i bambini dei dipendenti delle aziende. Per non parlare degli assessori che stanziano cospicui fondi per proporli nelle scuole. Gli stessi Gay Pride cui le marche partecipano sempre più numerose insieme ai loro gioiosi consulenti, stanno assumendo connotazioni di un tale volgare e sguaiato esibizionismo, che le foto di alcuni di quelli che sono saliti sui palchi o sfilato per strada vengono “censurate” proprio da Facebook (sic!) perché ritenute offensive del senso del pudore, o - più modernamente - della netiquette: un bel paradosso per uno dei GAFA più scatenati nella promozione delle teorie gender! Teorie che hanno diritto di esistere come tante altre, e che invece vengono tacciate di essere medioevali e oscurantiste, senza più diritto di cittadinanza in una società “moderna”.
Il progetto di smantellamento della famiglia tradizionale ha già portato, in otto anni, insieme ad altre concause, ad un saldo negativo in Italia di 140.000 neonati. Ragionando in meri termini di marketing, è evidente che proseguendo in questo robusto sostegno alle campagne contro la famiglia che genera figli - che nulla c’entra con la promozione di pari dignità per tutte le opzioni sessuali e di coppia - le marche stiano semplicemente segando il ramo su cui sono sedute. Promuovendo in questa forma così massiccia e intimidatoria stili di vita contrari alla famiglia capace di generare figli, a chi mai venderanno tra qualche anno beni e servizi necessari alla gestione delle famiglie, che costituiscono l’universo con la percentuale più rilevante di consumatori? Ed ecco la sorpresa: i consumatori/cittadini stanno cominciando a non accettare che le marche si intromettano nell’educazione dei figli o influenzino in forma così prevaricante e insistente il modo di pensare della popolazione.
Di questo le marche dovrebbero cominciare a preoccuparsi (superconsulenti, non sarete rimasti indietro per pura ideologia?) dato che il popolo dei cittadini, giova ribadirlo, è anche il popolo dei consumi. Ed è un popolo che si sta rivoltando massicciamente sui social network e persino con murales in tante città diverse, contro l’omertà di gran parte della stampa e della tv di fronte agli orrori di Bibbiano, perché maturati in un ambiente fortemente convinto delle teorie gender e della pericolosità sociale della famiglia tradizionale.
Quanto ai pubblicitari, che in gran parte hanno tralignato per mera avidità rispetto ad una gloriosa tradizione di creatività, sarebbe meglio si impegnassero di più nello studiare nuove strategie di promozione di lavatrici o salvaslip nella complessa era della costante attenzione parziale, invece di vergognarsene, aspirando a diventare “maitre à penser” di un pensiero tristemente unico (e quindi per nulla creativo). Ancora più grave che stiano ignorando pilastri del marketing come la sempre validissima USP (Unique Selling Proposition, anche se oggi viene chiamata in altri modi), che privilegia la ricerca di quel peculiare fattore in grado di aiutare la marca a differenziarsi dai concorrenti.
Vestire tutte le marche con la stessa maglietta arcobaleno è quindi un evidente controsenso, mentre il pensiero unico postmaterialista, invece di essere progressista, dopo un po’ di successo tra le élite salite sui carri colorati, finirà per soccombere sotto un’ondata di indignazione popolare, perché mostrerà (lo sta già facendo, v. Cirinnà) il suo volto assolutista e dittatoriale, genuinamente fascista, e quindi senza alcun futuro. Altro che libertà di pensiero! I più aggiornati e indipendenti ricercatori sociali fanno inoltre notare che la nascita e la crescita dei populismi nei più diversi paesi, sono l’evidente dimostrazione che il “popolo” non accetta prevaricazioni da chi, oltre che le tradizioni millenarie, intende sotterrare anche il buon senso sostituendolo con il suo pensiero unico.