12-03-2017 Comunicare, un'impresa nel mondo che cambia

Milano, 12 marzo 2017

Raccontare quel mondo particolare animato da imprese, lavoro, consumi: il tessuto economico della vita quotidiana. Lo fa bene Alberto Contri, sofisticato protagonista della comunicazione, descrivendone “i nuovi scenari nell’era della costante attenzione parziale” nelle pagine di “McLuhan non abita più qui?”, per Bollati Boringhieri. L’interrogativo sull’attualità dello studioso dell’equazione tra “mezzo e messaggio”, è naturalmente retorico. Perché Contri, ripercorrendo le sue esperienze tra pubblicità, tv e web, mostra come la proliferazione dei nuovi media non comporti automaticamente un miglioramento della qualità d’informazione e cultura: saltiamo dallo schermo Tv a quello del computer, guardiamo le news sui nostri smartphone ma facciamo fatica a distinguerle da commenti partigiani e fake news. È tutto un mondo in trasformazione, cui adattarsi. Anche, però, rivalutando le fondamenta della conoscenza. Come i buoni libri. Abita ancora qui, insomma, McLuhan.

C’è una nuova dimensione, con cui fare i conti, quella del “brand reporting”: un ibrido tra l’informazione e la comunicazione d’impresa. Cui Carlo Fornaro, uno dei migliori comunicatori italiani e Diomira Cennamo, giornalista, dedicano il libro “Professione brand reporter”, Hoepli: «Le nuove tecnologie hanno fatto in modo che ogni azienda possa trasformarsi in una media company»: sugli spazi web e sui social media di industrie di prodotti di consumo e società di servizi si trovano notizie, storie, pareri che non riguardano i prodotti specifici, ma l’universo tecnologico, economico, sociale. Sfida forte, controversa, oltre i confini tradizionali dell’informazione. Ma comunque in corso. In tempi difficili, in cui sul web girano vorticosamente notizie, opinioni, fatti veri e post verità. Da imparare a distinguere.

È una sfida che riguarda pure le imprese, in cerca di reputazione da costruire o rafforzare anche con una buona comunicazione. Facendosi carico di tutte le questioni della qualità della comunicazione, della trasparenza e della correttezza di quel che viene messo in rete, dell’etica dei nuovi “brand reporter”. Utile fare un po’ di storia. E rileggere le vicende delle “Icone d’impresa”, come fa Francesca Molteni per Carocci, con il sostegno di Museimpresa, scrivendo degli “oggetti che hanno fatto grande l’industria italiana”, come, tra i tanti, gli arredi progettati da Gio Ponti, le macchine del caffè di Rancilio, la bottiglia del Campari Soda disegnata da Depero, le auto Lancia, la moto Ducati e la Vespa Piaggio, le scarpe Ferragamo, il Cinturato Pirelli, il “cane a sei zampe” dell’Eni, le scatole blu di pasta Barilla, la “Perottina” Olivetti, la spirale dei tubi Dalmine, le sedie di plastica Kartell firmate da Starck: oggetti “utili e belli, ben disegnati”, “figli dell’industria, di grandi visioni e invenzioni”. Che hanno fatto la storia dello sviluppo italiano. E ne segnano l’attualità.
IlGiorno